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L’oro di Napoli

‟Stu’ paes’ nun’ s’ scord’ maje”. Ce lo ricorda Totò che primo tra tutti, con la sua straordinaria comicità, ha saputo guidarci in tutti i suoi ruoli, lungo le luci e le ombre dell’Italia della seconda metà del Novecento, e in modo particolare in quelle della sua città d’appartenenza, Napoli, mostrandocene la meraviglia. L’oro di Napoli, film del 1954, diretto dal maestro del Neorealismo Vittorio De Sica (anch’egli di origine napoletana) è proprio questo che si propone di fare. È un omaggio a Napoli, la città gentile che non si dimentica.

Presentato nel 1955 in concorso all’ottava edizione del Festival di Cannes, il film si è aggiudicato nello stesso anno due Nastri d’Argento. Ispirato all’opera omonima di Giuseppe Marotta – autore di punta nel panorama della letteratura novecentesca meridionale – rielaborata e riadattata per il cinema da Cesare Zavattini, L’oro di Napoli si compone di sei episodi che ci offrono nel complesso un’istantanea limpida e netta del ventre di Napoli. La Napoli dei vicoli e dei ‘bassi’, ammaliante, misteriosa e a tratti dura.

Il punto di forza del film sta negli attori a cui De Sica cede le redini della storia. Gli episodi poggiano su alcuni dei più grandi interpreti della scena partenopea, impeccabili nell’evocare lo spirito tutto peculiare della città. Notevolissime e d’avanguardia alcune sequenze della pellicola, che per sempre resteranno indelebili negli sguardi di tutti gli spettatori del cinema d’autore.

Sono Totò e Eduardo de Filippo ad aprire e chiudere il film, con uno sguardo affettuoso e malinconico insieme, e disseminando qua e là umorismo e amarezza. Ed è lo stesso Vittorio De Sica a sorprenderci doppiamente nel suo farsi regista e attore. Nell’episodio “I giocatori” il regista ci impressiona con un’interessante interpretazione di un conte napoletano solito cercare la sua rivincita in lunghe partite a scopa con un altro personaggio, Gennarino. Potremmo per certi versi rintracciarvi un primo indizio di quelle che saranno scene tipiche del cinema hollywoodiano in cui ci sono giocatori al tavolo che giocano a poker texas hold’em. I due giochi di carte, scopa e texas hold’em, si somigliano per la presenza sul tavolo di carte comuni ai diversi partecipanti, che influenzano la strategia di gioco.

Sei episodi come sei tasselli che ricostruiscono il puzzle di una tra le città italiane con più storie da raccontarci. Quella città scelta addirittura dal Leopardi alla ricerca degli anni migliori, gli ultimi. De Sica si impegna a consegnarci i ritratti quotidiani di una città in cui fascino e scompiglio convivono insieme originando un sapore e un odore che solo chi ha avuto la fortuna di vivere Napoli per qualche tempo può e sa risuscitare.

È Totò con la sua maschera comica da ‘Pazzariello’ a introdurci nel primo episodio del film, “Il guappo”. La bellezza disarmante e sensuale di Sophia Loren ci accompagna, invece, per tutto il secondo tassello del film: “Pizze a credito”. Lo stesso regista Vittorio de Sica vestirà i panni del napoletano Conte Prospero nel terzo episodio della pellicola, i giocatori. Saranno poi rispettivamente Silvana Mangano e, dulcis in fundo, Eduardo de Filippo, ad animare le ultime due parti del film, “Teresa” e “Il professore”.

Ogni personaggio contribuisce ad aggiungere un ingrediente in più. Ogni storia contribuisce a raccontare una delle tante facce di Napoli. Quel mondo pieno e colorato in cui convivono le realtà più disparate. Ed è questo che l’opera di De Sica è abilissima nel fare. Nell’esprimere il sentimento di Napoli. Un po’ come una sindrome, è un sentimento che non si può spiegare o analizzare. Dopotutto ‟Napule è mille culure, Napule è mille paure, Napule è a voce de’ creature che saglie chianu chianu e tu sai ca nun si sule”.

Autore: Angelo
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